L’arrivo di una nuova generazione di console genera sempre una grande ondata di entusiasmo nei cuori e nelle menti dei videogiocatori. Solitamente un cambio generazionale avviene ogni sei/sette anni, in pratica un’era geologica in ambito tecnologico. È quindi normale pensare che ci potremo aspettare un avanzamento consistente sia in termini di gameplay che di grafica, data la maggior potenza a disposizione dalle software house per la creazione dei loro giochi, senza contare l’integrazione di vari servizi online – diventati sempre più importanti per offrire un’adeguata proposta ludica.

Questo passaggio, specialmente durante le prime generazioni di console, era contraddistinto anche dal numero raddoppiato di bit del bus dati del processore. Per citare quelle più conosciute, siamo passati dall’età d’oro degli 8 bit, caratterizzata da Nintendo Entertainment System e Sega Master System, all’epoca dei 16 bit, i cui massimi esponenti sono stati Sega Mega Drive, Super Nintendo Entertainment System e Neo Geo, proseguendo con i 32/64 bit (Nintendo 64, Sega Saturn, Sony Playstation) e terminando con quella a 128 bit – Sega Dreamcast, Sony PlayStation 2, Microsoft Xbox e Nintendo Gamecube.

In seguito, questa suddivisione è venuta meno a causa dell’introduzione di elementi più importanti da considerare, quali l’implementazione di architetture multi-core ed i diversi compiti da svolgere da CPU e GPU.

Il salto generazionale più sentito è stato sicuramente quello da 16 a 32 bit, caratterizzato da un cambio di paradigma vero e proprio dalle due alle tre dimensioni (già sperimentato in precedenza, ma con risultati altalenanti senza l’impiego di processori ausiliari che acceleravano i calcoli come nel caso del celeberrimo SuperFX, utilizzato per la prima volta in StarFox, popolare sparatutto sviluppato da Argonaut Software per SNES), ma il cui impatto è diminuito nel corso del tempo.

A fine anno debutteranno sul mercato le tanto attese Xbox Series X e PlayStation 5, macchine dalla potenza bruta notevole e da cui ci si aspetta grandi cose.

Recentemente Microsoft ha tenuto una nuova puntata della sua rubrica “Inside Xbox” mostrando i primi video gameplay di alcuni titoli in sviluppo per la sua nuova macchina. Anche se non si trattava di veri e propri gameplay, ma solo di “gameplay trailer” – quindi filmati realizzati ad hoc con scene tratte dal gioco vero e proprio in esecuzione sulla macchina – molti sono rimasti piuttosto delusi dalla qualità grafica generale, giudicata non molto distante da quanto Xbox One e PlayStation 4 offrono attualmente.

Possiamo pensare, ad esempio, ad un titolo come The Medium, il cui trailer nella prima parte presentava varie scene pre-renderizzate per far spazio successivamente al gioco vero e proprio, dove si mostrava una cosmesi non troppo dissimile da prodotti attuali, come Someday You’ll Return. In particolare, in quest’ultimo caso si parla di un vero e proprio titolo next-gen, in quanto i creatori, lo studio polacco Bloober Team, già conosciuto per i precedenti Layers Of Fear, Observer e Blair Witch, hanno affermato che sarà destinato solo a PC e Xbox Series X, tagliando fuori i possessori di Xbox One.

Possiamo prendere come esempio anche Assassin’s Creed Valhalla di Ubisoft, prossimo capitolo della celeberrima serie che uscirà anche per l’attuale generazione di console, ma offrirà ovviamente diversi miglioramenti grafici sulle prossime macchine.

Cosa comporta sviluppare un gioco a metà strada tra due generazioni di console? Quali vantaggi e svantaggi offre sia per gli studi che per i consumatori finali? Cerchiamo un po’ di fare il punto della situazione e vedere se i giochi cross-gen siano una benedizione o una maledizione dell’industria contemporanea.

Un approccio visto anche in passato

La scelta di realizzare doppie versioni di uno stesso videogioco non è certo una novità e l’abbiamo sperimentata soprattutto durante i primi anni di commercializzazione di Xbox One e PlayStation 4.

Infatti, titoli come Watch Dogs, Destiny, Dragon Age: Inquisition, Far Cry 4, Alien: Isolation, Wolfenstein: The New Order e Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, per citarne alcuni, hanno visto la luce sia sulla generazione di console uscente che su quella appena giunta nei negozi. Le differenze tecniche, ovviamente, erano evidenti, ma poi non così incisive. Si parlava, molto spesso, di una risoluzione di rendering più bassa (720 vs 1080p), oltre ad una minore qualità di texture e pulizia di immagine, con eventuali cali di frame rate.

La nuova generazione, a parte pochi titoli esclusivi, quindi non sembrava, ad una fugace occhiata, così tecnologicamente più avanti rispetto alla precedente. Tuttavia, titoli come Dead Rising 3 e Ryse: Son Of Rome su Xbox One, così come Killzone: Shadow Fall o Infamous: Second Son su PS4, riuscivano a mostrare ai giocatori che la situazione era cambiata e le nuove macchine erano in grado di offrire esperienze migliori rispetto al passato grazie alla loro maggiore potenza di calcolo – capace, ad esempio, di gestire un numero elevato di personaggi su schermo alla volta, oppure di offrire effetti di luce e particellari impensabili in precedenza.

Ryse: Son Of Rome (Crytek)

Perché quindi continuare a sviluppare titoli cross-gen? Il motivo è puramente economico.

Gli sviluppatori possono in questo modo attingere al vasto pubblico della passata generazione – si parla di svariate decine di milioni di unità – ed al contempo offrire diversi vantaggi agli “early adopter” delle macchine appena introdotte sul mercato.

Dall’altra parte i produttori di hardware dovranno faticare un po’ di più per vendere i loro ultimi ritrovati tecnologici. Tipicamente, date le poche esclusive, la disponibilità di giochi cross-gen porterà molti utenti a temporeggiare, in quanto possono acquistare ugualmente un determinato gioco sulla loro console attuale, con compromessi tollerabili.

Un freno per i primi titoli next-gen

Tuttavia, la scelta di sviluppare un titolo per due generazioni di console potrebbe porre le software house di fronte a diverse questioni non facilmente risolvibili.

Prima di tutto sarà necessario verificare se gli inevitabili limiti imposti dalla gamma di macchine precedente andranno a compromettere la visione originale del progetto.

Prendiamo l’esempio di Dying Light, originariamente annunciato per Windows PC, Sony PlayStation 4 e Microsoft Xbox One, ma anche per le “vecchie” PS3 e Xbox 360. Dopo alcuni mesi, Techland, software house al lavoro sul gioco, ha dovuto cancellare le versioni “old-gen” proprio perché le console della passata generazione non erano in grado di fornire un’esperienza di gioco ottimale per ciò che avevano in mente.

Pawel Zawodny, development director della compagnia, diversi anni fa ha proprio evidenziato questo aspetto, affermando che «i problemi sono iniziati quando lo sviluppo ha raggiunto uno stadio tale che non si poteva andare avanti se non tagliando qualcosa dalla versione della generazione precedente. Quindi la sfida non era quella di creare una grafica accattivante su hardware meno recente, ma come arricchire l’edizione next-gen senza compromettere le altre.»

Il fatto di pensare a ben cinque diverse build, inoltre, aumentava sia il tempo di sviluppo che il numero di persone coinvolte complessivamente nel progetto.

Dying Light (Techland)

Per i motivi evidenziati poc’anzi, perciò, la realizzazione di titoli cross-gen si può adattare facilmente solo a prodotti che non forniscano davvero un salto generazionale evidente in termini di gameplay ed offerta ludica, ma che possono essere facilmente riadattati diminuendo la qualità grafica o il frame rate.

Portandoci ai giorni nostri, le future Sony PlayStation 5 e Microsoft Xbox Series X metteranno sul piatto evidenti miglioramenti in campo grafico – ma non solo: l’uso di CPU con architettura Zen 2 e veloci dischi a stato solido andrà a impattare in maniera consistente su alcuni aspetti collegati direttamente al gameplay dei videogiochi.

Entrando più nello specifico, la maggiore potenza della CPU permetterà di migliorare l’intelligenza artificiale dei nemici e dei personaggi non giocanti (consentendo anche di gestirne un numero più alto), ma non dimentichiamo anche i calcoli inerenti la fisica (rammentate i frame drop consistenti che si possono verificare attualmente in occasione di esplosioni di generose dimensioni?). Le mappe di gioco, inoltre, potranno essere espanse ulteriormente, sia grazie alla CPU che ai caricamenti praticamente istantanei, donando ai prodotti di nuova generazione una completezza ed un’immersione mai avuta prima d’ora.

La GPU, infine, in virtù del supporto al ray tracing in tempo reale accelerato via hardware, potrà dare vita a scenari elaborati ed al limite del fotorealismo.

Non va sottovalutata neppure la componente sonora, su cui Sony sembra volere puntare molto con il suo Tempest Engine, in grado di immergere ancora di più il giocatore nell’azione grazie all’implementazione di un audio 3D particolarmente avanzato e che non vediamo l’ora di sentire con le nostre orecchie.

Da queste prime informazioni sulle console di prossima generazione, vediamo già che eventuali titoli cross-gen non potranno far altro che offrire semplicemente una grafica migliore sulle macchine di nuova generazione, senza apportare miglioramenti a gameplay e costruzione dei mondi di gioco, dato che saranno limitati dalle CPU ormai antiquate presenti su PS4 e Xbox One.

Scorn (Ebb Software)

Ecco quindi tornare nuovamente la questione: i prodotti cross-gen frenano l’industria?

Se si considerasse un punto di vista prettamente tecnico la risposta : certamente sì. Se le software house iniziassero a sviluppare titoli destinati unicamente alla nuova generazione di console potremmo vedere sin da subito un generoso salto in avanti, tale da incentivare anche le vendite delle macchine stesse e da ridurre il tempo necessario a familiarizzare con l’hardware a disposizione. Il risultato sarebbe che non dovremmo aspettare svariati anni prima di vedere giochi che sfruttino adeguatamente le console – cosa che già succede, tuttavia, solo con i titoli esclusivi first party.

Dal punto di vista economico, tuttavia, privarsi del vasto bacino di utenza delle precedenti generazioni significherebbe, per le aziende, sobbarcarsi enormi costi sin da subito per la realizzazione di giochi di nuova generazione che, per ovvi motivi, difficilmente potranno generare elevati volumi di vendite e, di conseguenza, avere anche meno denaro da investire in progetti più ambiziosi in futuro.

Per questo motivo, possiamo dire che, nella situazione attuale, con i costi esorbitanti che gli studi sono costretti ad affrontare per la realizzazione di un videogioco, l’esistenza di titoli cross-gen è un male tutto sommato accettabile.

Upgrade intelligente

Fortunatamente, i motori grafici attuali consentono facilmente, anche con un semplice clic, di ottimizzare al massimo i videogiochi per farli girare al meglio su qualsiasi macchina in commercio. Ovviamente, sarà importante la costruzione logica alla base dei prodotti – in modo che non sia troppo esosa in termini di CPU, vera e propria discriminante.

Sia Sony che Microsoft, inoltre, stanno cercando di incentivare il passaggio alle nuove console in modo sostanzialmente indolore, fornendo retrocompatibilità con la passata generazione – e consentendo così di continuare a giocare alla propria libreria di giochi – attraverso patch e, nel caso della casa di Redmond, la funzionalità Smart Delivery, che consentirà di comprare un gioco una sola volta e poi scaricare la versione adatta in base alla console posseduta. Tutti i giochi Xbox Game Studios supporteranno questa feature, compreso Halo Infinite, in modo che dobbiate acquistare il gioco una sola volta per giocarci sulla piattaforma che preferite. Questo mese, inoltre, siamo venuti a conoscenza di altri titoli, tra cui l’atteso Assassin’s Creed: Valhalla, che potranno sfruttare questa possibilità.

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